Белла Чао

Tra poco più di un mese celebreremo la nostra Guerra di Liberazione, la fine della guerra civile, il capitolo finale di una carneficina nata per colpa nostra (eravamo i cattivi, gli invasori, gli sterminatori) e finita grazie agli americani e alla Resistenza (aiutata dagli americani). La R maiuscola non è un caso. Il nostro presente dipende dalla scelta fatta allora da decine di migliaia di soldati disertori, oppositori politici, civili in armi. Donne comprese.

Se la situazione sarà ancora simile a quella di oggi (spero proprio di no), il prossimo 25 aprile, saremo sommersi da una valanga di parole di distinguo che cercheranno di segnare le differenze tra la nostra Guerra di Liberazione (giusta) e quella che oggi stanno portando avanti militari e civili ucraini (meno giusta della nostra, se non proprio sbagliata).

Ieri, di fronte alle immagini dell’Ospedale pediatrico di Mariupol raso al suolo dai russi, alle fosse comuni scavate in fretta e furia perché non c’è possibilità di celebrare funerali sotto i bombardamenti e alle voci che ancora invitano il presidente ucraino Zelensky alla resa “per evitare ulteriori sofferenze al suo popolo”, con un’associazione di idee non necessariamente lineare, sono arrivato al 23 marzo 1943, giorno dell’attentato di via Rasella, a Roma.
La diretta conseguenza di quell’attacco partigiano fu la strage delle Fosse Ardeatine.

In molti, ancora oggi, sostengono che: visto che tutti sapevano che per ogni tedesco ucciso dai partigiani, la ritorsione avrebbe portato alla fucilazione di 10 italiani, quell’attentato così eclatante era una follia e la responsabilità delle Fosse Ardeatine pesa e peserà per sempre sulla coscienza di chi organizzò l’attacco alla colonna tedesca che marciava compatta in via Rasella. Ovviamente non l’ho mai pensato e non lo penso. Credo che le Fosse Ardeatine pesino solo sulla coscienza di chi uccise a sangue freddo 335 civili, di chi occupava l’Italia, di chi rastrellava il Ghetto, dei Repubblichini di Salò.

Lo pensano, ovviamente, anche tutti coloro che il 25 aprile festeggeranno la fine di una dittatura e di una terribile guerra fratricida. Per questo trovo incredibile che tra questi che sfileranno cantando con giusto orgoglio Bella Ciao ci saranno anche coloro che oggi a gran voce chiedono a una nazione invasa a martirizzata da un dittatore senza grandi scrupoli di arrendersi. Noi dopo l’8 settembre del 1943 non ci siamo arresi.
Ucraina libera.

Bonus track: Bella Ciao cantata da una cantante ucraina qualche giorno fa.
Questo il testo tradotto.

4 Comments on "Белла Чао"

  1. Già. Ma non è solo un invito alla resa. C’è di più e di peggio, in coloro che il 25 aprile festeggiano ogni anno – bontà loro – la fine “di tutte le guerre”. Una specie di fatwa. Che suona così. Noi siamo stati costretti a combattere, perché eravamo sotto una dittatura spietata. Non avevamo scelta. Ma in virtù del fatto che abbiamo finito, vincendola, la nostra guerra, diciamo: non la deve fare più nessun altro. Perché è brutta e non risolve nulla. Non importa se altri, nel mondo, si trovano nella stessa situazione in cui ci trovavamo noi. Non devono fare la guerra, perché noi non gli diamo il permesso, l’autorizzazione morale.

  2. L’ipocrisia è involontaria, spesso. O meglio, è il portato inconsapevole di un’etnocentrismo, di un pregiudizio culturale, per il quale “la Storia siamo noi”. Senso etico e giudizio politico si adattano – molto – a seconda della latitudine e longitudine delle situazioni esaminate.

    • Sante Altizio | 12 Marzo 2022 at 14:58 | Rispondi

      Direi che la sveglia dal Cremlino è suonata forte e chiara. La storia non siamo più noi. Definitivamente.

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