PENSIERI DI SOCCORSO

24 ore all’interno di un Pronto Soccorso accanto al letto dov’ è sdraiato tuo padre, ti consentono, nonostante l’ansia e la stanchezza, alcune lucide considerazione.
La prima: il personale è eroico. Tutto, a tutti i livelli. Riescono ad essere ancora empatici quanto basta per evitare che la routine li divori. Splendidi.
La seconda: l’età media dell’utenza è tale da costringere a un’ulteriore considerazione.
Che senso ha? Che senso ha un hardware che può reggere anche 9 decadi, se sei dotato di un software che, se fai bingo, ne regge bene 6, forse 7?
C’erano decine di donne e uomini anziani e anzianissimi. Nei loro lamenti ho sentito più disperazione che dolore, più stanchezza di vivere, che desiderio di guarigione.
Quindi, ribadisco, che senso ha?
La qualità della vita, separata dal suo tempo, è progresso, è socialmente sensato, è sostenibile (per la famiglia, prima di tutto)?
Vivere di più, senza essere in grado di farlo bene, è stupido, e, se vogliamo, anche crudele.
Comunque sia, nel girone dantesco dalle porte girevoli, che è un Pronto Soccorso, si sono presi cura di Rocco. Pur nel marasma e nella frenesia dell’imprevisto costante, me lo hanno restituito con una risposta a tutte le domande, un sorriso e una parola rassicurante.
L’ospedale è il “Martini” di via Tofane, a Torino, la dott.ssa avrei voglia di citarla qui pubblicamente, ma non sarebbe corretto. La abbraccio con un post.

p.s. Tantissimi dei volti che ho incrociato nella notte tra venerdì e sabato erano giovani, spesso molto giovani. Ho pensato: questa è la meglio gioventù.

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