POTA

Di Bergamo non so nulla, o quasi. L’ho visitata rapidamente qualche anno fa. Ho toccato gli attributi eccessivi del Colleoni, passeggiato per la città de hura, ma non ho mangiato i casoncelli. Però ho lavorato a lungo con un bergamasco della Val Seriana, un chimico di Clusone prestato alla fotografia, e, grazie a lui, alcune cose le ho capite: i bergamaschi hanno le spalle larghe e la Serenissima nel DNA. Vedono il mondo con razionalità asburgica e lo affrontano come farebbe un contadino: lavorando sodo. Sempre.

Oggi è la prima Giornata della memoria delle vittime del Covid e si celebra a Bergamo.

Un anno fa, oggi, nella notte, da quella città è partita una colonna di camion militari zeppa di bare da smaltire, morti da sistemare in qualche luogo e in qualche modo. Il giorno dopo guardando quelle immagini degne di una guerra, abbiamo capito in quale enorme casino eravamo finiti.

E io? Cosa facevo, pensavo, credevo, speravo il 18 marzo del 2020? Aspettavo la Festa del Papà vegliando mio padre allettato dalla demenza senile e che sarebbe morto in estate. L’ho scritto qui e rileggerlo oggi fa una certa impressione.

Dopo aver visto quei camion e ascoltato i racconti dolenti di figli che non hanno potuto salutare i padri, di nipoti che hanno visto dissolversi i nonni, di funerali negati, di saluti mancati, di videochiamate struggenti, chiedevo a mio padre di non morire ancora per un po’, di evitarmi quello strazio.

Un anno. Non siamo diventati migliori, ma sì, non è tutto come prima. Qualcosa è cambiato, quei camion militari stipati di bare manco fosse Tetris, ce lo ricorderanno per generazioni.

Il chimico di Clusone intercalava con un “pota” ogni 10 secondi, la sua parlata italica modulata dal dialetto. E noi colleghi, con lui. Un “pota” dopo l’altro.

Per me il suo “pota” era una specie di punto esclamativo con un potere rafforzativo inequivocabile. Se diceva “Guarda che gambe, che ha quella lì, pota.”, significava che quelle gambe erano degne delle Gemelle Kessler, che di gambe ne avevano 4.

Oggi serve un punto esclamativo con potere rafforzativo. C’è da ricordare lo stordimento di una città che ha visto morire come mosche, assai più che altrove, i propri vecchi. Una generazione intera. Un passato cancellato e un futuro mozzato.

Qualcuno sostiene che pota derivi dal latino e significhi più o meno “beviamoci sopra”. Spero abbia ragione perchè oggi c’è da alzare il bicchiere di vino in ricordo di troppe persone che non ci sono più, uccise da un virus e, portate via, nottetempo, da un camion.

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