AZIONE

sul set di Boris

Motore … e … AZIONE!“. Quante volte l’ho ripetuto su un set, quante volte mi sono rivisto nel mitico Renè Ferretti che definisce “buona” una scena che manco avresti dovuto indicare come “scarto” pur di fare minutaggio, quante volte mi sono chiesto “perchè lo faccio” mentre dirigevo fiction di Serie D, pagato come un runner qualunque di un set decente?

In fondo mi piaceva, inutile negarlo. Come piaceva a Renè. C’è del masochismo che ognuno di noi ama perpetrare senza ragione apparente. A me, dirigere fiction a basso costo, che nessuno o quasi avrebbe visto (per fortuna), piaceva. Una sorta di mission impossible senza Tom Cruise.

Quindi, accanto a una mai brillante carriera registica, poteva mancare un più che caduco rapporto con la politica attiva?

Ho iniziato a militare nella Rete di Leoluca Orlando nel 1991 (candidatura comunale nel 1993 a Grugliasco), poi i Cristiano Sociali di Pierre Carniti nel 1994 (candidatura comunale nel 1995 a Collegno), poi il PDS di Occhetto e membro della segreteria del partito, sempre a Collegno. Ancora qualche vagito con i DS, entusiasmo per il PD veltroniano, l’Ulivo di Prodi, la sterzata ringalluzzente di Renzi, il 40% alle europee, poi il frontale con l’iceberg referendario del 2016.

Avrei chiuso lì.  La politica mi piace più concreta che teorica. Trovo utile leggere Gramsci, trovo inutile infilare Gramsci parlando di Tik Tok (è un’iperbole, ma rende l’idea). Trovo sciocco avere paura del progresso se ci si definisce riformisti. Non capisco come possa il riformismo trasformarsi in conservazione (che è quanto stiamo vivendo da un bel pezzo).  Non riesco a contemplare l’eterno compromesso al ribasso, l’assenza di competenza, l’incapacità gestionale dei processi decisionali. Sono stanco della guerra interna alla sinistra, dove trovi sempre uno più puro di te che ti mette all’indice, che valuta il tuo tasso di ortodossia, che ti spiega come vanno le cose.

Partiamo da un postulato. Sei o sei stato renziano? Allora sei nammerda. E in genere te lo dice uno che ha pure creduto che invadere l’Ungheria nel 1956 fosse giusto. O che le BR fossero solo “compagni che sbagliano”.

Era quindi inevitabile che alla fine scegliessi di puntare ancora qualche gettone su Carlo Calenda e sul suo movimento, Azione. Mi piace l’approccio, ma soprattutto mi ha convinto il fuoco di fila ostile dei sacerdoti custodi del Sol dell’Avvenire, per non parlare delle sentenze di condanna del tribunale del popolo istituito da il Fatto Quotidiano. Se non piace a Marco Travaglio e Peter Gomez, di sicuro piacerà a me.

E Azione sia, quindi. Come regista non sono mai stato un granché, ma metti mai che stavolta il finale prende un’altra piega. Dai, dai, dai!

 

 

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