QUANDO SI PERDE

Il giorno dopo una sconfitta che, per forza di cose, entrerà nella storia della mia squadra di calcio del corazòn, mi sono alzato un po’ mesto e un po’ pesto. È vero che abbiamo perso di misura contro la squadra più forte del mondo, vero anche che abbiamo “preso palo” (semicit.) e incocciato nel ginocchio del loro portiere già spiazzato, ma come direbbe il compianto Vujaidin Bôskov “Gol è quando palla supera linea di porta“. E se non la supera, non è gol.

Coltivo l’interismo, lascito diretto di mio padre, con la massima moderazione di cui sono capace, cioè poca. Pochissima. Cerco in ogni modo di tenere distanti i destini dell’Inter dai miei, ma quando, come ieri, si incrociano in una finale di Coppa dei Campioni, saltano gli schemi ed ecco che ti ritrovi a San Siro indossando la maglia nerazzurra d’ordinanza. In pochi istanti l’intellettuale medio (e nascosto) che c’è in me, si trasforma e si palesa sottoforma di un iracondo ultras medio.

Certo non è come vedere Clark Kent che entra nella cabina telefonica, ma, per la miseria … che catarsi meravigliosa!

Rispetto alla generica categoria del tifoso incallito, però, cerco di mantenere nei confronti degli avversari un contegno leggermente sopra la media. Difficilmente, a fronte di una sconfitta bruciante altrui, divento un’insopportabile cafone.

Riassumerei così: “Gufare sempre. Gettare sale sulle ferite, solo in modica quantità.” Il dolore sportivo va (almeno un po’) rispettato.

Ieri sera, ancora in piena trance agonistica (ero a San Siro e al fischio dell’arbitro a Istanbul ero stanco quasi come Acerbi che aveva marcato e annullato Haaland), qualcuno tra i miei contatti ha alzato il tiro sui social. Mi sono tolto la soddisfazione di tagliare all’istante qualche “amicizia” (l’amicizia social è concetto del tutto e solo digitale) e di mandare a stendere almeno un paio di adulti incapaci di intendere e di volere quando si trovano di fronte a una tastiera.

Anche questo è stato estremamente catartico. E forse anche giusto.

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