UNA POESIA PER RIMINI – Italia Rossa giorno 50

Inizia ad essere chiaro a tutti che alla fine del tunnel chiamato Lockdown, non troveremo il sole, ma un secondo tunnel chiamato Crisi Economica.

Con l’arrivo di maggio, se c’è un settore che in Italia vivrà una crisi epocale è il turismo, che, da solo, vale il 13% della ricchezza economica nostrana. Una delle città che più subiranno il contraccolpo della serrata iniziata a fine febbraio, è ovviamente Rimini. Se volete rendervi conto di cosa rappresenti il turismo per la capitale della Romagna, leggete qui.

Nella città di Federico Fellini pochi si occupano di cinema, ma moltissimi vivono (e prosperano) di turismo: più o meno il 70% dei riminesi è coinvolto nell’accoglienza turistica, che ormai non si concentra più solo d’estate, ma si è spalmata durante il resto dell’anno.

Tra i riminesi che vivono accogliendo e coccolando turisti che provengono da mezza Europa, c’è Cristina Cesari Semprini. Siamo amici ormai da un bel po’. A farci conoscere è stato l’amore per la scrittura, ma soprattutto una certa visione della vita fatta più di pane e salame che di ardite analisi letterarie. Mi ha persino seguito nella folle impresa del BookPostino, vedete voi.

Cristina ha un ristorante, gestisce un B&B, aiuta nell’organizzazione del lavoro di una delle piadinerie più  cool della città, ma soprattutto scrive poesie. Sì, poesie. Riducendola all’osso è una Cuoca Poetessa. Un’imprenditrice del turismo dedita alla poesia. Cucina e accoglie in versi, e i suoi versi sono più buoni di un ottimo Sangiovese e libidinosi come un piatto di cappelletti in brodo. Ve lo dice uno che alla poesia non è mai riuscito a dare del tu, ma ai cappelletti e al Sangiovese sì.

Le ho chiesto se aveva voglia di raccontarmi cosa sta capitando dalle sue parti, come ci si sta preparando a una delle stagioni estive più difficili degli ultimi sessant’anni. Ha accettato.

Prima di tutto, visto che vivi in una delle città più colpite dal Covid19, è d’uopo chiederti come stai? 

Sto bene, per fortuna. Il virus qui ha colpito duro, anche persone a me molto vicine. Ci siamo ritrovati improvvisamente in una situazione inedita e straniante. La difficoltà più grande è stata non poter vedere mio figlio, ad esempio, anche se abita a 10 km con la sua compagna, ma in un altro comune, e per assurdo avere mia madre due piani sotto, ma non vederla se non dalla porta per salutarla e lasciarle la spesa. Ci si abitua a tutto, ma è dura.

Che aria si respira in città? A metà febbraio mi dicevi che era tutto pieno, oggi c’è deserto. Qual sentimento predomina: incredulità, voglia di reagire, scoramento?

Rimini è per sua natura una città d’accoglienza, il flusso di persone non è più relegato alla sola estate, anzi. Da una parte convegni, fiere ed eventi tutto l’anno, dall’altra un grande impulso dato al Centro Storico rimesso a nuovo, musei, teatri, che l’hanno resa viva come mai. Anche noi riminesi, soprattutto negli ultimi anni, viviamo in pieno la nostra città. Per le fiere di gennaio e febbraio e prima il Natale e Capodanno avevano riempito oltre 600 alberghi e sembrava di essere in piena estate. Poi i divieti, una Zona Rossa strettissima. Devo dire che siamo stati bravi. Non immediatamente forse, ma poi abbiamo capito che solo insieme e solo così potevamo farcela. Ci dicevamo: “Prima iniziamo, prima ricominciamo”.

Come la stragrande maggioranza dei riminesi anche tu vivi di turismo: un ristorante di famiglia, un figlio coinvolto, e poi tutte le varie attività nelle quali sei coinvolta. Due mesi di fermo sono una mazzata tremenda. Riaprirete il ristorante?

Due mesi, soprattutto questi mesi, sì sono una mazzata. Molte delle attività legate alla stagione estiva, già a gennaio e febbraio si mettono in moto. Una Pasqua così non si era mai vissuta. Siamo abituati a fare, siamo gente che ogni anno pensa già al prossimo, e non sapere “quando” e soprattutto “come” è destabilizzante. Negli ultimi giorni sento comunque più energia, in molti hanno aperto con consegne a domicilio, si sono persino inventati il bar a pedali. Non abbiamo scelta: tutti dobbiamo riaprire, gli ultimi non sono stati anni nei quali si sono accumulati risparmi per poter saltare una stagione. La maggior parte delle attività sono a gestione familiare. Quello che davvero subirà un tracollo sono le assunzioni stagionali. Come puoi sapere chi potrai far lavorare, se non sai nemmeno quante persone potrai far sedere o dormire nel tuo locale o albergo. E soprattutto quanti verranno in ferie? Chi avrà voglia di prenotare o fare una vacanza senza certezze?

Il futuro, in questo momento, fa paura.

La paura c’è, ma non c’è tempo per pensarci. Dobbiamo sistemare, inventarci, essere quello che siamo: gente che ama la gente. Mi sono commossa leggendo commenti di persone (soprattutto lombarde, delle zone più duramente colpite dal Covid19) che speravano di tornare qui, un po’ per dimenticare il mostro che hanno affrontato e un po’  “per “sentirsi a casa“ anche in vacanza. Noi siamo qui ad aspettarli.

E la poesia? Aiuta?

Sante, per me, la poesia, è stata la salvezza, come sempre. Ad un certo punto ho smesso di guardare TV, leggere continuamente notizie e mi sono rifugiata lì. La poesia (e la lettura) proteggono e consolano. Ho letto molto Franco Arminio e Mariangela Gualtieri e molta poesia sud americana.

Dimenticavo: questa è una delle poesie che mi accompagna sempre. È di un poeta turco, Nazim Hikmet.

Il più bello dei mari
è quello che non navigammo.

Il più bello dei nostri figli
non è ancora cresciuto.

I più belli dei nostri giorni
non li abbiamo ancora vissuti.

E quello
che vorrei dirti di più bello
non te l’ho ancora detto.

Grazie Cri.

Se volete scoprire la poesia di Cristina (ve lo consiglio caldamente), allora fatevi un giro qui e qui.

 

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