PAROLE BUONE – Italia Rossa giorno 51

Sono giorni nei quali sento la tensione, la rabbia, l’impazienza, la frustrazione di non potere riavere tutta e per intero la mia vita precedente. Fatico ad accettarne l’idea, fatico a pensare che una vita socialmente distanziata, asettica, lontana, isolata abbia davvero un senso, se non quello di una necessità dal tempo, però, indefinito. Fino a quando, per quanto, come? Domande senza risposta, se non quelle vaghe e arroganti di chi su una delle due sponde della barricata brandisce il tuo vessillo. Con il  quale, diciamolo, può tranquillamente soffiarsi il naso.

Ho bisogno di parole diverse, di un livello diverso, di una qualità e prospettiva diversa. Le ho chieste a un amico, che non fatico a definire fraterno. Uno storico, un giornalista e scrittore, un profondo conoscitore del mondo ecclesiale, un vero amante del sport, e del calcio, in particolare, che spesso racconta in modo magistrale. Si chiama Luca Rolandi, e oggi, tra le mille cose che fa, dirige la rivista del Polo del Novecento di Torino.

Avevo bisogno di ascoltare parole buone, lui ha accettato e me le ha scritte. Le condivido volentieri con voi.

Come stai? Com’è andata questa clausura forzata? 

La vita di colpo è cambiata, ma non per me, per tutti. Non è tanto sospesa come molti affermano, sta andando avanti in modo diverso. Io penso soprattutto a coloro che non hanno tempo di pensarci troppo ma devono agire: medici, infermieri, operatori sanitari, tutti quelli che lavorano, mentre noi siamo fermi o quasi. Curare per loro è l’orizzonte di senso della professione che poi è vocazione e servizio. Gli altri sono i malati da curare o accompagnare in mancanza di famigliari o cappellani nell’ultimo miglio. E noi ci sentiamo in uno stato nuovo in cui solitudine, pensieri, angosce, sogni sono un misto di paure e di speranze. Al netto di tutto quello che leggiamo, vediamo e ci scambiamo molto più di prima in modo virtuale, le domande di fondo restano inevase e riemergono quando non si riesce a dormire. Ciò che manca è dunque la relazione epidermica, l’abbraccio e il bacio, la stretta di mano. Tutte realtà non formali e utilitaristiche ma fondamentali per capire che io esisto solo se in relazione con il tu, l’altro. 

Cosa pensi dell’impossibilità per i fedeli di accedere ai luoghi di culto? C’è una disattenzione al tema religioso, sempre meno al centro del dibattito, oppure davvero la situazione è talmente tanto ingarbugliata che l’attenzione ai luoghi di culto non può essere una priorità?

Situazione delicatissima e complessa. Gestita male dal Governo e dall’Istituzione ecclesiastica. Il tema della fede, il suo mistero, dono, grazia, chiamiamola come si vuole e si deve, è talmente profondo che se è vero che posso e devo alimentarmi per vivere biologicamente, mangiando e bevendo, è dunque anche giusto che il credente partecipi alla cena eucaristica. Anche se non riesco a pensare un rapporto di scambio mercantile. Il mistero dell’incarnazione e della eucaristia, sono qualcosa di imparagonabile alle sale gioco e ai musei. Lo dico in considerazioni delle due parti a confronto. In ogni caso il dibattito che è nato dopo le indicazioni del Governo sulla Fase 2 con i vescovi italiani, ha mostrato una pluralità di voci e di visioni, che io giudico positiva. Senza cadere nelle classificazioni pericolose e obsolete di cattolici del sociale e cattolici per la morale. Il mondo cattolico è plurale e dialogante. Non credo che vi siano attentati alla libertà religiosa o di culto da parte dello Stato. Io sono un fautore della laicità senza per altro considerarla un feticcio. Un’ espressione intelligente e da riprendere fu quella di Mino Martinazzoli che a proposito dei credenti in politica diceva “non siamo in politica per la fede ma a causa della fede”. E sul piano teologico ed ecclesiologico sarebbe un grave errore pensare, proprio per le condizioni date, che qualcuno mini le basi della fede per legge. L’esperienza cristiana viene vissuta su due realtà che hanno pari dignità e profondità: quella spirituale e quella sacramentale. In questo momento, straordinario, la prima si può sperimentare completamente mentre la seconda è sospesa, ma tornerà. Bisogna avere pazienza dice Papa Francesco, l’attraversata del deserto non è solo una immagine biblica fissata per sempre. Ritornerà il popolo di Dio e sarà festa, anche se non mai è stata sospesa la messa. Si è continuato a celebrarla. Come scrive don Luca Peyron, “La Messa è il sacrificio di Gesù per tutti, ma nel senso più vero, ossia che a tutti arriva attraverso quei pochi che sono lì in quel momento”. E non dimenticherei le altre religioni, le fedi monoteiste e quelle orientali anche loro sono espressioni di una dimensione che va tutelata e lo dovrà essere sempre nella pandemia e oltre.

Tu sei un attento osservatore dei linguaggi. Internet, possiamo dirlo, ci ha salvato la vita. Ci ha tenuti ancorati al mondo fuori e ci ha permesso di continuare a lavorare, studiare, ascoltare. Siamo di fronte a una sorta di Internet 3.0?

Io dico che nella babele e nelle mille contraddizioni del mondo tecnologico, il digitale ci ha salvato almeno dal punto di vista psicologico e della tenuta psicofisica. Tu pensa cosa sarebbe accaduto trent’anni fa, una pandemia con la possibilità di comunicare solo attraverso il telefono e con una informazione di telegiornali, radio e giornali di carta, sicuramente autorevoli, ma senza possibilità di dialogo e contraddittorio. Ora senza esagerare e diventare fondamentalisti tecnologici è evidente che didattica a distanza e smart working, per rispettare l’ambiente, facilitare le famiglie e le relazioni potranno e dovranno essere una strada da percorrere.

Le parole dure, cattive, volgari di qualche mese fa, oggi sembrano placate, quasi controllate dalla pandemia. C’è quindi bisogno di parole buone.

Ecco appunto, la rete e i social, senza filtri e senza un’etica, che una volta si chiamava netiquette, può diventare una polveriera. Anzi un perenne e infinito flusso di post, pensieri, parole senza una riflessione, uno studio, una ricerca interiore e intellettuale che lo precedano. E quindi è più facile essere trasmettitori di parole cattive, di odio, di egoismo, di particolare, piuttosto che di buoni pensieri, non buonisti e in modo infantile generici e superficiali. 

“Parole buone” è il nome di un progetto multimediale nato dopo qualche settimana di lockdown, che ti vede coinvolto in prima persona. Di cosa si tratta, come sta andando? 

Tutto è nato da una idea di amico medico, ex fucino di Bergamo con una moglie di Seveso. Si chiama Sergio Astori ed è psicoterapeuta e docente di psicologia. Bergamo e Seveso: due città che dovrebbero fare venire in mente una tragedia che stiamo tutti vivendo e una lontana. Intorno a lui si è aggregato in modo spontaneo, un gruppo di persone, alcuni amici altri che in questi due mesi lo sono diventati, che hanno pensato a lanciare parole buone, ovvero pensate, costruite da un dialogo quotidiano. #ParoleBuone, pillole di resilienza per affrontare questo tempo di pandemia da coronavirus, che vengono tradotte e pubblicate in diversi formati, perché possano essere per tutti, nessuno escluso. Con donne e uomini, di tutte le età e le classi sociali, laiche e credenti, con competenze variegate: educatori, volontari, medici, clinici, giornalisti, operatori del terzo settore e altri ancora, abbiamo messo a fuoco l’obiettivo di un progetto comunicativo da svilupparsi ora mentre la crisi sanitaria ed economica, conseguente la pandemia, ci sta coinvolgendo tutti.  La pandemia lascerà molti e significativi strascichi emotivi e sociali. I drastici cambiamenti nello stile di vita e il confronto drammatico con la paura di perdere un caro o la propria stessa vita, l’esperienza di piangere un parente senza poterlo salutare per l’ultima volta, richiederanno una metabolizzazione complessa e una grande capacità di resilienza e per questo ci sarà bisogno di Parolebuone anche per il futuro.

5 Comments on "PAROLE BUONE – Italia Rossa giorno 51"

  1. Umberto Astori | 29 Aprile 2020 at 16:28 | Rispondi

    PAROLE BUONE . Sono come tante gocce colme di pensieri positivi per ogni sentiero di vita.

  2. Andrea Tomasetto | 29 Aprile 2020 at 16:41 | Rispondi

    Caro Sante, guarda che sbagli… Luca non è “un vero amante dello sport”! Tifa Juve!!!! Non dovevi accogliere la sua intervista!

  3. ciao Sante, mi ritrovo nella tua rabbia e fastidio, non so bene come gestirle e credo che mi aggancerò alla lettura delle parole buone. Grazie per la condivisione (e un abbraccio)

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