LA LEGGE DEI NUMERI – Italia Rossa giorni 53 e 54

In linea teorica, i numeri dovrebbero darci certezze. Aiutarci a capire. Eppure “dare i numeri” è la classica espressione che appioppiamo a colui che ci appare stravagante. Oggetto della locuzione, va detto, non sono i matematici, che i numeri li danno di mestiere, ma gli astrologi con la loro insana abitudine di (appunto) dare i numeri ( per lo più a pagamento) con i quali giocare al lotto. Altra ipotesi: diciamo che “danno i numeri“, coloro che entrano in un fast food armati di un fucile a pompa, come novelli Michael Douglas.
Ci sono giorni che sogno di farlo. Più volte al giorno.
Nel caos pandemico in cui siamo immersi, i numeri hanno giocato (e giocano) un ruolo importante. Ne ho quindi parlato con un amico, professore universitario, che di numeri ne capisce parecchio: Lorenzo Magnea. Lorenzo è un fisico teorico, uno spacchettatore di problemi, l’uomo che ha in tasca tutte le brugole necessarie per smontare e rimontare cifre, diagrammi, mappe. Fosse svedese (in effetti ha una moglie finlandese, madrelingua svedese) sarebbe socio di maggioranza dell’Ikea con chissà quali possibili ambizioni. Per fortuna di Carl Gustaf Folke Hubertus, re di Svezia, Lorenzo insegna all’Università di Torino.
Dopo la notizia bomba: “Se si riapre troppo in fretta avremo 151 mila persone in terapia intensiva entro giugno”, prima sono tracollato, poi ho strabuzzato. In pratica un italiano su 400 sarebbe stato intubato. Possibile? Dopo un paio di giorni sono iniziate, e non ancora finite, le retromarcieEra uno scenario. Il peggiore. Forse un po’ esagerato. Magari non sarà così. E porca vacca, però…
Non è l’unico caso. Penso ai numeri (per lo più inutili) sciorinati ogni benedettto giorno di quarantena dalla Protezione Civile, penso all’ incapacità di molti media di chiedere i numeri giusti per capire cosa succede, e alla difficoltà degli stessi scienziati di trovarsi allineati nella loro interpretazione.
Perchè ho la sensazione che 2+2 non riesca quasi mai a fare davvero 4?
Prof. Magnea, aiutami tu!
E il prof mi aiutò, scrivendomi quanto segue.

Direi che ci troviamo in una situazione nuova. Per anni abbiamo discusso e lavorato sulla diffusione  delle informazioni scientifiche e sulla lotta alle fake news. Ma quella era una situazione in cui, nella maggior parte dei casi, c’era un solido consenso delle comunità scientifiche sugli argomenti di cui parlavamo: il clima sta cambiando per effetto delle azioni umane, i vaccini non causano l’autismo, e così via. Adesso invece siamo in `telecronaca diretta’: intere comunità di scienziati di tante discipline  diverse stanno lavorando giorno e notte sulla pandemia, e su molti aspetti il consenso non c’è ancora: si provano strade, si fanno modelli, si testano medicine e procedure. Il lavoro di informare il pubblico, sia da parte degli scienziati che da parte dei media, è ancora più delicato e difficile di prima, la responsabilità è ancora più grande. La tentazione di sparare la notizia più eclatante, il numero più grosso, l’opinione più aspra è fortissima, e si possono fare danni.

Abbiamo visto notizie diventare virali sulla base di articoli scientifici non ancora pubblicati (quindi non ancora esaminati dai referee – dalla comunità), modelli basati su ipotesi complesse dei quali viene annunciato solo uno dei possibili risultati – il più sorprendente, quindi forse il meno probabile.

La conseguenza è che chi legge si sente disorientato, sembra che nessuno sappia cosa fare. In realtà, ci vogliono pazienza e buon senso (che però non sono facili da esercitare nei momenti di crisi grave). Sui `fondamentali’ tutti sono d’accordo: bisogna minimizzare i contatti tra le persone, fare più test possibile più in fretta possibile, tracciare i contatti delle persone infette e isolarli, lavorare ventre a terra, ma senza scorciatoie, su vaccini e terapie. 

Ci vorrà tempo, purtroppo.

Aggiungo un  commento “sui 151.000”, per quel che vale. 

Quando leggiamo un titolo come “Se si riapre tutto l’8 giugno, 151mila ricoverati in intensiva”, dobbiamo leggere un po’ oltre: così scopriamo che questo numero emerge da uno studio che ha esaminato 92 scenari, di cui questo, l’unico citato, era il peggiore. Dobbiamo renderci conto che gli autori dello studio sanno molto bene che in Italia i posti in terapia intensiva sono molto meno di 150mila. Dobbiamo renderci conto che il numero “151mila” non è di per sé significativo, emerge da ipotesi particolari (per questo si fanno 92 scenari!), e fa un po’ sorridere che si scriva`151’ come se sapessimo davvero quanti sarebbero, fino all’ultimo migliaio!

Detto questo, dietro il numero c’e’ un messaggio solido, che invece va digerito: se si riapre in modo imprudente, troppo, e troppo presto, l’epidemia potrebbe riprendere con la sua caratteristica crescita esponenziale. E gli esponenziali non perdonano: le terapie intensive potrebbero andare in saturazione, decine di migliaia di pazienti potrebbero averne disperatamente bisogno, e questo costerebbe migliaia e migliaia di ulteriori decessi. 

Però, per dirlo bene ci vogliono almeno tre righe … non sta in un titolo, purtroppo.”

Insomma, per capire i numeri, ci vogliono le lettere. Possibilmente scritte in buon italiano.

Magnea dixit.

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