ZINGARACCIA

Non mi nascondo dietro al dito mignolo. Non potrei farlo nemmeno dopo dieci diete a zona. Faccio fatica: non capisco, non riesco a capire il mondo Rom. Ho girato mezzo mondo, ne ho viste di cotte, di crude e di crudissime, ma solo “gli zingari” riescono a dare corpo allo stereotipo che ho appollaiato nella cabeza. Se vedo una zingara a dieci metri da me, metto in automatico mano al portafoglio per controllare se è ancora al suo posto. Poi a rubarlo ci penserà il signore in giacca e cravatta alle mie spalle sulla scala mobile della metro. Perché questo è lo stereotipo, ti punisce sempre, è implacabile. Ma visto che non riesco, non sono capace, non ci arrivo, cosa faccio? Facile, in teoria. Chiedo lumi alla Classe Dirigente. Chiedo la testimonianza, l’esempio, l’indirizzo, il modo per buttare nel cesso, una volta per tutte, il mio stereotipo zingaro e far fare un passo in avanti alla mia civilizzazione. Invece, la Classe Dirigente invoca le “ruspe” contro le “zingaracce” e rende ancora più vivo e plastico lo stereotipo. Lo ingrassa come pollo di batteria. Eppure so che è un gioco pericoloso, molto pericoloso, perché ho letto tanti (troppi?) libri di storia.
Vorrei che questa onda anomala di merda si placasse e che finisse la quotidiana caccia mediatica al negro, all’omosessuale, alla zingara. Non ho voglia, nessuna voglia, di finire, per colpa di uno stereotipo, in un capitolo triste del libro di storia di mio nipote.

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