A LORO CI PENSA (anche) SILVIA – Italia Rossa giorno 22

Dillo a un senza fissa dimora che deve stare a casa, altrimenti lo multi, lo denunci o gli urli assassino dai balconi. Dillo a un malato psichiatrico che deve stampare un’autocertificazione, possibilmente l’ultima, per andare a prendere il pane stando in coda con la mascherina a un metro di distanza da chi ti precede e chi ti segue. Dillo a chi si affida a un SerD per restare aggrappato alla vita, che è ora di chiudere tutto per un bel po’ (“Quanto?” Non si sa, dipende). Un SerD, per la cronaca, è un Servizio per le Dipendenze patologiche. Avete presente la famosa “ultima ruota del carro”? Ecco l’utenza, più o meno, è quella roba lì. E quando c’è tutto questo casino in giro, quando il mondo si auto reclude, chi si prende cura di loro?

Nei SerD lo fanno gli stessi che lo facevano prima: medici, infermieri, educatori. Si mettono lo scafandro da palombaro e tirano dritto.

Silvia è un medico specialista ambulatoriale specializzata in malattie infettive, in forza al Dipartimento di Patologia delle dipendenze ASL TO3.  Non proprio la materia del celebrato Roberto Burioni, ma quasi. Insomma, ne capisce parecchio. Lavora a Giaveno, ridente paesucolo non distante da Torino. Siamo coetanei, stessa sezione al Liceo, la H. Io un anno più grande.

A Silvia mi legano tanti ricordi, ma uno in particolare: suo papà. Piemontesissimo signore sabaudo doc, in gioventù, mi ha introdotto a ben due segreti della cucina popolare locale. Per me, terrone abituato a una cucina tutta olio di frittura, una vera epifania. Nello specifico: il risotto con le ortiche raccolte nel prato senza nulla patire e, sopratutto, gli agnolotti in brodo serviti nella tazza del latte e addizionati con un quarto di bicchiere di barbera. Libidine allo stato gastronomico. Il vino, per colpa sua, lo addiziono anche quando mi portano del minestrone. Terrone ero, terrone rimango.

Fine delle rimembranze.

Silvia, da bravo medico, che però, per inciso, è moglie e mamma di tre figli, il caos Covid19 se lo spupazza tutto per intero. Le ho chiesto come stesse e come fosse la sua giornata tipo. “Faccio turni presso alcuni SerD della ASL e turni presso l’unità di crisi della Regione Piemonte nei weekend in sostegno ai colleghi. Lo faccio io, ma anche gli altri miei colleghi infettivologi del SerD. Siamo tutti presenti“.

Una piccola rivincita, diciamolo. Gli infettivologi, in genere, non se li fila mai nessuno. Ora sono più richiesti dei biscotti alla Nutella.

Dal tuo punto di vista e data la tua esperienza quando hai capito che stava per pioverci in testa un merdone gigantesco?  “Domenica 24 febbraio, dopo il primo covid positivo in Piemonte. Alle ore 20 sul mio cellulare compare un nuovo gruppo whatsapp: “Teste Coronate”. Nome di alleggerimento per indicare gli infettivologi dell’ASL TO3 riuniti dal nostro direttore di Dipartimento patologia delle dipendenze, Paolo Jarre. Dovevamo subito organizzare una riflessione, atti operativi volti al contenimento dell’infezione all’interno dei nostri Servizi. Da allora abbiamo lavorato come un sol uomo, comprato termometri, dispositivi di protezione individuale, organizzato triage, sostenuto colleghi, effettuato consulenze, prestato servizio  fuori dal nostro orario di servizio. Qualcuno di noi da il suo contributo nei reparti covid che spuntano come funghi, ma tutto senza perdere di vista i nostri pazienti. Pazienti fragili che già solitamente attraversano la vita in bilico. Siamo medici e non si può non far così.

Da mamma, però penso anche ai  miei figli ai quali è stato rubato un pezzetto di vita: la scuola, gli scout, l’animazione in parrocchia, l’arbitraggio, la scherma, amici e amori spazzati via in questa primavera maledetta.

Con fatica, ma con un sorriso si sono adattati. Ritmi diversi ma alla fine giorni uguali. Va beh, passano gran tempo alla play station, ma che fa… Improvvisano concerti, salutano gli anziani dai balconi, si offrono per la spesa o per due lavoretti in casa, meditando su una tombolata per Pasquetta urlando i numeri che manco nei vicoli di Napoli.

E poi c’è l’ansia per i genitori dei tanti loro amici che lavorano o che il lavoro lo stanno perdendo. Senza una primavera che possono sperare diventi estate. Ora basta.. . faccio una torta così almeno hanno da addolcire la bocca ed il cuore

Buon lavoro Silvia, io mi prenoto per gli agnolotti. La Barbera la porto io.

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