Non mancava molto allo scoppio di Tangentopoli. Ero un baldo e inesperto cronista, quindi origliavo spesso i colleghi più esperti che se la raccontavano durante le conferenze stampa istituzionali nelle quali imperversavano politici socialisti e democristiani di vario cabotaggio. Il ritornello suonava così: “La DC è messa male, ma il PSI è una vera cloaca. Prima o poi li arrestano tutti.”

Vivevo ancora con i miei genitori, mio papà è sempre stato un militante socialista di area pertiniana, ma a Torino il PSI non era nelle mani di Sandro Pertini. Un giorno trovo nella cassetta della posta una lettera indirizzata a lui, e il mittente era Giusi La Ganga, torinesissimo e responsabile Enti Locali del partito. Litigammo animatamente. Credo fosse la prima volta che mio padre ed io ci trovavamo su sponde diverse dello stesso fiume: “Papà stai attento a ricevere posta da questo qui, che ci arriva la Digos a casa!“.

Non la prese bene, e tornammo il meno possibile sull’argomento. Poi si dovette ricredere masticando amaro quando la dirigenza del PSI torinese, e non solo, venne arrestata quasi in blocco. Giusi La Ganga, si trasformò nel perfetto omen nomen e Bettino Craxi, per chiudere il cerchio, scappò in Tunisia. La verginità socialista era definitivamente perduta.

Oggi Giusi La Ganga, è morto all’età di 72 anni. Si era candidato con il PD alle amministrative torinese del 2013. In quella occasione, fedele alla mia vis polemica e manichea, gli chiesi pubblicamente, sulla sua bacheca Facebook, se non ritesse fosse più saggio dedicarsi ad altro che non fosse la politica, visti i pessimi risultati del passato.

Mi rispose garbatamente e fermamente che (non sarò letterale, ma il senso era quello) non aveva nulla da farsi perdonare e riteneva il proprio agire politico di qualità.

Lì per lì lo trovai assurdo. Sette anni dopo, alla luce di ciò che abbiamo visto in questi anni sulla scena politica torinese e nazionale, molto meno.