LA LOTTA NON È CONTINUA

È andato in onda venerdì 13, alle 21 e 25 su Rai3. Si intitola Lotta continua ed è ispirato al libro “I ragazzi che volevano fare la rivoluzione” di Aldo Cazzullo, uscito nel 2015 per Mondadori. Se lo aveste perso, recuperatelo su RaiPlay, ne vale davvero la pena. 

Tony Saccucci che lo ha diretto, Andrea De Martino e Eleonora Orlandi che lo  hanno scritto, hanno realizzato un film documentario che, secondo me, è tra le riletture più sincere tra quelle che ripercorrono la storia del movimento di Lotta Continua. Molte le voci dei protagonisti, alcune assai celebri: da Erri De Luca a Giampiero Mughini, da Gad Lerner a Marco Boato, da Paolo Liguori a Mario Sinibaldi. Il loro recupero della memoria, dei lutti causati e subiti, dei sogni infranti è stato a tratti molto intenso.

Erano il desiderio di giustizia sociale, dell’affermazione di diritti fino ad allora negati, le ragioni che hanno motivato tanti giovani studenti universitari a lottare con le unghie e con i denti contro lo Stato.

Una volta incassata la sconfitta, però, si sono lentamente normalizzati. Quel radicalismo apparentemente necessario, alla prova dei fatti, aveva un prezzo troppo alto. La lotta non poteva essere continua, la rivoluzione era un’utopia e lo scontro armato contro il padrone, il governo, il capitalismo, un’opzione devastante. 

Fare i conti con il passato, con il proprio passato, non è facile. Nel nostro Paese quasi nessuno ci è riuscito con onestà intellettuale, nemmeno all’interno di Lotta Continua. Mi è parso però, guardano il documentario, che per la prima volta emergesse una linea diversa dal consueto: gli errori sono errori. Impossibile chiamarli diversamente, anche se osservati a mezzo secolo di distanza. 

Il giorno prima della messa in onda di “Lotta Continua”, a Palermo, è morto Biagio Conte. I media ne hanno parlato diffusamente.

Biagio era un palermitano figlio della buona borghesia siciliana, che un bel giorno, più o meno ventenne, decide di rinunciare a tutte le sicurezze del suo status, di spogliarsi di tutti i suoi privilegi, di calzare dei sandali, indossare un saio marrone e di sedersi accanto ai poveri facendo loro un’unica domanda: “Di cosa hai bisogno?”.

E poi provare a fare qualcosa per rispondere a quel bisogno: un pasto, un lavoro, un medico, un letto, una spalla su cui appoggiare le proprie fragilità. Una storia che ricorda da vicino quella di San Francesco d’Assisi. 

Fratel Biagio, così veniva chiamato, è morto di tumore a 60 anni. Ha iniziato come uno squatter qualunque occupando un edificio comunale abbandonato per ospitare povera gente, ed ha finito ospitando Papa Francesco nella sua mensa. 

Di Biagio Conte non sapevo molto, scampoli di notizie a metà tra la cronaca e l’informazione religiosa. Invece, dei protagonisti di Lotta Continua, conosco anche i dettagli della loro parabola rivoluzionaria.

Sono storie che ho iniziato a fare mie fin dai tempi in cui portai all’esame di storia contemporanea il saggio di Diego Novelli e Nicola TranfagliaVite sospese”, edizioni Garzanti. Era il 1988 e avevo 22 anni. Il corso era interamente dedicato agli Anni di Piombo.

Quelle storie di ragazzi qualunque che a un certo punto del loro percorso politico imbracciano le armi, mi segnarono profondamente. Se fossi nato dieci anni prima, sarei passato indenne da quella tempesta? 

Non esiste una risposta, è ovvio, ma venerdì sera, passati i titoli di coda del film è arrivata un’altra domanda, forse tardiva, ma credo ineludibile: alla luce dei fatti e della piccola storia quotidiana che ognuno di noi si costruisce nel tempo, chi è stato un vero rivoluzionario, chi ha alleviato le sofferenze del proprio compagno di strada: Erri De Luca o Biagio Conte? 

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