LO SCIOPERO È UNA COSA SERIA

Per tutti gli Anni Settanta e fino alla Marcia dei Quarantamila, a casa Altizio, ogni volta che i metalmeccanici proclamavano un’agitazione sindacale, l’aria si faceva tesa. Mio padre era operaio e sindacalista alla Fiat Mirafiori. Mia mamma era un colletto bianco, impiegata in uno dei mille rivoli dell’indotto auto. Rocco non ha mai saltato uno sciopero, mia madre, invece, aggirava i picchetti ed entrava in ufficio quasi notte tempo. “Rosa, tu scioperi?“. “E come faccio? Lo sai come sono quelli lì“. Rocco masticava amaro, e scioperava anche per permettere a mia madre di liberarsi dalla paura di incrociare le braccia.

Partiamo da un dato empirico: Torino era la città dell’auto, la Fiat era l’azienda più importante e influente del Paese, i temi sul tavolo erano importanti e coinvolgevano direttamente i 3/4 degli abitanti della città e, per estensione, l’economia italiana, tutta concentrata sulla manifattura. In gioco c’era spesso la difesa del posto di lavoro, ma anche e soprattuto il diritto alla pausa per andare in bagno, alla mensa, a un orario e salario dignitoso, al diritto delle operaie di fare figli, alla fine delle schedature degli operai scomodi, a un welfare che avesse senso. Non eravamo nella seconda metà Ottocento, ma insomma.

La politica appariva debole, avvitata tra monocolori democristiani e pentapartiti a trazione DC, in balia dell’inflazione e della Guerra Fredda.

Lo Sciopero Generale di oggi, 16 dicembre, mi irrita non tanto perchè si viva nel migliore dei mondi possibili e che quindi non esistano le ragioni per scioperare, ma solo perchè nel 2021 si usano le stesse categorie economiche e culturali degli Anni Settanta per raccontare la realtà. Ogni tanto mi diverto a leggere i post dei compagni, quelli veri (che in genere sono dipendenti pubblici o, beati loro, pensionati), che hanno il pugno sinistro sempre chiuso e il braccio teso verso l’alto mentre ascoltano gli Inti Illimani. Il linguaggio, lo stile, le istanze che invocano a tutto post, sembrano cristallizzate nel tempo. Quel tempo. Coccolano l’idea della lotta di classe (che quasi sempre l’hanno solo letta, forse vista, mai vissuta) e del proletariato che vince la battaglia contro il Padrone e poi va in vacanza studio a Cuba per raccogliere il plauso degli eredi di Che Guevara. Una lettura auto consolatoria del mondo.

La domanda che mi pongo (invano) è questa: si può affrontare la rivoluzione digitale, la sharing economy, il dumping dei prezzi in agricoltura sulla pelle dei braccianti (stranieri), il boom senza regole della logistica, lo smart working, lo sbarco massiccio delle multinazionali, le nuove delocalizzazioni, la riconversione ecologica, l’immigrazione dal sud del mondo, come se si fosse ancora tutti davanti alla Fiat Mirafiori nel 1977? Che senso ha? Se a Lama, Carniti e Benvenuto (12 palle in tre) contrapponi Landini, Sbarra e Barbagallo, dove pensi di andare? Come credi di poter incidere nella realtà, in questa realtà complessa, interconnessa, e globale a tal punto da avere azzerato perfino le distanze con la Cina?

Lo sciopero è una cosa seria, molto seria, peccato che il sindacato lo abbia dimenticato e derubricato a puro segnale di esistenza in vita.

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