IL GLADIATORE NEL PALLONE

È stata come una bufera che non ha risparmiato nessuno, protagonisti e comparse. Come se il mondo, quel mondo che noi percepiamo come tale, avesse all’unisono trattenuto il fiato.

Il caso della giornalista molestata in diretta tv, per un paio di giorni ha quasi oscurato l’incessante flusso di news sul Covid. Ho letto molti articoli, ho ascoltato diverse riflessioni, mi sono fatto domande e ho provato a darmi risposte, ma non ho trovato uno straccio di risposta credibile. Anzi, sono arrivate altre domande, altri nodi da sciogliere.

Prima di tutto ho pensato al contesto: il calcio e lo stadio. Nel nostro immaginario (e nella realtà dei fatti di cronaca) allo stadio si può fare quasi tutto. Si può essere razzisti, fascisti e violenti. Anche tutte queste cose insieme. Lo si può essere sia nelle parole, che nei gesti.

Come può succedere, quindi, che toccare il culo ad una giornalista in diretta tv possa ritenersi così tanto sbagliato da focalizzare l’attenzione di un Paese intero? E poi: le giornaliste che si occupano di calcio vengono scelte dagli editori seguendo un copione identico a se stesso fin dal primo Processo di Biscardi. Era il 1993. La giornalista del bar sport, tranne rare eccezioni, è una valletta con il microfono, e deve essere alta, bella e magari anche popputa. La gran parte del pubblico che ama il calcio, paga gli abbonamenti tv o sostiene gli ascolti delle emittenti minori, non si schioda da questi precetti.

Sei padre di una femmina, se quella giornalista fosse stata tua figlia come avresti reagito, cosa avresti detto?” Domanda corretta e risposta facile: sarei entrato nella tv e legnato personalmente il palpeggiatore. Senza esitare un secondo.

Però sono padre anche di un figlio maschio e mi sono chiesto: se fosse stato lui il palpeggiatore? Credo che sarei morto di vergogna, ma avrei cercato di puntare su tutte le attenuanti possibili per salvargli la reputazione residua. Inutile negarlo, mi sarei arrampicato su qualunque tipo di specchio, anche saponato.

A mio modesto parere focalizzare l’attenzione solo sul gesto irrispettoso che colpisce una donna che stava lavorando, sputtanandola urbi et orbi, è parziale e non affronta il problema. Perdiamo di vista il contesto che invece, secondo me, sarebbe quello da prendere in considerazione.

Seguo il calcio da mezzo secolo, lo faccio con passione, a volte troppa. Lo stadio e il calcio sono una specie di no tax area, dove posso permettermi di insultate un giocatore per il colore della pelle, inneggiare al Duce, ricordare all’arbitro le competenze extra coniugali della consorte, passare davanti a una bella ragazza e sentirmi autorizzato ad allungare le mani. Non va bene.

Sembra che ogni società abbia bisogno della sua arena per gladiatori, nella quale ciascuno di noi può dare sfogo al troglodita che gli alberga nel colon, e che in settimana il buon senso, il buon gusto, il rispetto di sè, tengono a bada.

Il palpeggiatore è stato dipinto anche a tinte fortissime, quasi alla Pacciani. Anche qui, andiamoci piano. Se fai un gesto simile in diretta tv, la tua prima caratteristica è l’imbecillità, non l’essere violento. Lo hanno preso in poche ore, esposto al pubblico ludibrio e adesso dovrà vedersela con un giudice, pagando anche i danni morali a una donna umiliata e gettata nel tritacarne delle bacheche social. L’ometto scopre cosi che ogni azione ha le sue conseguenze. Perfetto.

Mi piacerebbe però che ci interrogassimo sul perché nel 2021 dopo una pandemia che avrebbe dovuto renderci migliori, abbiamo ancora bisogno dello stadio per sentirci come l’uomo che non deve chiedere mai e che, troppo spesso, non pare ancora avere capito quanto siano preziosi i pollici opponibili.

2 Comments on "IL GLADIATORE NEL PALLONE"

  1. Magari. Magari il problema fossero gli stadi. E le aree pertinenziali agli stessi. Circola una petizione – da alcuni giorni – su Change.org. Promossa da donne. Che chiede anche in Italia, come già in India, in Brasile e in Giappone, vagoni women only sulle metropolitane. Per non essere più costrette a subire palpeggiamenti quando i vagoni sono pieni. Le belle e le bestie separate, insomma, dico io. Per tutelare le belle. Forse l’assenza di una educazione sentimentale, l’incapacità di gestire l’emotività, sdogana in generale atteggiamenti e comportamenti predatori. Anche senza il conforto di zone franche. Credo…

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