NIGEREIDE – Badola por el mundo

Sabato 19 gennaio 2019

Benvenuti in Niger. Sono sbarcato tre giorni dopo Conte, il Premier, non l’allenatore. Lui è venuto in visita pastorale, io no. Arrivo dopo un viaggio di 12 ore da Torino a Niamey, via Parigi. Siamo in quattro: tre cooperanti veri, e un intruso, il sottoscritto. 

Scopo del viaggio: usare la mia telecamera per raccontare il lavoro di una ONG, il Cisv, in uno dei Paesi più sfigati del globo. Il Niger, ho avuto conferma appena messo il naso fuori dalla porta degli arrivi internazionali, è povero da far paura. È immerso nella sabbia del Sahel ed ora è anche la nuova frontiera dell’immigrazione che dal cuore dell’Africa spinge verso l’Europa milioni di disperati, con tutto ciò che ne consegue, visto che la tratta di esseri umani è tanto lucrosa, quanto illegale. Un ottimo posto dove non venire.

Nel complesso, dicono i miei compagni d’avventura, il Niger è abbastanza sicuro. Ci sono aree nelle quali potremo circolare liberamente senza temere per la pellaccia e altre nelle quali, invece, non dovremo nemmeno pensare di avvicinarci. 

Atterrando ho visto un paio di aerei da trasporto dell’esercito tedesco e tre di quello americano Ma, in Niger, ci siamo anche noi, con i nostri soldati, e, ovviamente, i francesi. I francesi in Africa occidentale, sono come il prezzemolo. Partout. A proposito, qui si parla francese, lingua della quale conosco non oltre 20 vocaboli. Sarà divertente.

Non viaggio per lavoro da 6 anni, l’ultimo è stato in Brasile al seguito di Papa Bergoglio, per la GMG di Rio de Janeiro nel 2013. Questa vita un po’ mi mancava, anche se non ho più l’età per fare il badola in giro por el mundo.

L’impatto con il Niger, considerate le premesse, è tutto sommato soft, mi piace. Sembra un enorme campo da tennis del Rollan Garros, terra rossa ovunque. 

Il viaggio in auto (su un’indistruttibile Toyota pick up anni novanta), dall’aeroporto a quella che sarà la mia nuova casa fino a domenica, è istruttivo: asfalto gibboso, case basse di fattura precaria e centinaia di banchetti improvvisati sui quali ho intravisto ciarpame variegatissimo. C’è gente, c’è movimento, ma non caos. Anche i profumi non sono forti. Sono le 17 e la luce è bellissima, siamo in terra islamica e si vede, ma non vedo nè burka alla afghana, né lunghe barbe da ultras della Sharia. Buon segno.

Dei miei compagni di viaggio, ne conosco uno su tre, e sembrano gli ideali compagni di viaggio. La cooperante italiana che ci ha accolto in aeroporto e vive qui, Marta, ci guiderà per i prossimi 10 giorni (e dovrà mettersi più volte a favore di telecamera per raccontarci il chi, il dove, il come, il quando, ma soprattutto il perchè del suo essere qui) sembra molto padrona della situazione. Altro buon segno.

Mi hanno sistemato in una stanza dell’ex consolato onorario italiano a Niamey. Tranquilli, calmate gli entusiasmi. Per gli standard africani si tratta di una sistemazione stellata, ma se ci mandate vostro cugino ignaro, torna a casa e vi gonfia di mazzate.

Sono stanco da non connettere, mi manca il wi fi, ma un po’ di social detox mi farà bene. Il letto a due piazze tutto per me è invitante come un barattolo di nutella già aperto.

Il clima non è male. Di giorno pare che la temperatura salga oltre i 30 gradi, ma quando il sole tramonta, di notte, si viaggia comodamente sotto i 20, quindi dormirò con la copertina. Magari mi passa anche il mal di gola da inverno torinese che mi scartavetra l’ugola da un po’.

Abbiamo cenato in un posto, che quasi certamente non troverete su Trip Advisor, ma che in fondo lo meriterebbe. Gli spiedini di filetto erano davvero buoni, ottime le frites (i francesi hanno fatto almeno una cosa buona quando hanno colonizzato mezza Africa) e una più che discreta birra locale (che con scarsa fantasia si chiama “Niger”). Il ristorante in oggetto, del ristorante al quale il nostro immaginario occidentale attinge, ha poco e  nulla: all’aperto, affacciato sul fiume (anche il fiume si chiama Niger, come la birra), con luci fioche a incandescenza, pochi tavoli traballanti e una folta schiera di zanzare. In pratica è un campeggio, però con 5 euro ti portano anche il resto.

Niamey mi piace, per quel poco che ho visto oggi. Mi piacciono le facce che sto incrociando, mi piace la percezione immediata che tempo e spazio si dilatino senza affanni, mi piace l’idea di essere qui, dove nessuno o quasi vorrebbe essere.

Sono sfatto. Sono le 22,30, notte.

6 Comments on "NIGEREIDE – Badola por el mundo"

  1. MARINA PONZETTO | 1 Febbraio 2019 at 19:34 | Rispondi

    Aspetto il seguito

  2. Sante attento ai paragoni che la sabbia del Niger è distante da quella del court di Paris: lì credo non ci giocherebbero neppure un tiè break. Magari metti tutto in un libro o magari regali una storia a me per metterla in un libro. Poi dividiamo.

  3. Sono curiosa di leggere il seguito… perchè si, ci sarà un seguito vero??

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