NIGERIADE 6 – Insigne

Venerdì 25 gennaio 2019, dalle parti di Zinder

Stamattina siamo stati in un villaggio poco distante da qui. Il classico villaggio africano da documentario BBC: case di fango, sterco e paglia. E sabbia. Sabbia ovunque. Per terra, sui vestiti, nei capelli, nel naso.

In questo villaggio del quale non ricordo il nome e se anche lo ricordassi non sarei in grado di scriverlo, sembrava vivessero solo bambini. Ce n’erano ovunque, come la sabbia; bambini a grappoli, e tutti di un’età apparentemente compresa tra i 2 e i 10 anni. Sono sbucati da ogni dove appena siamo scesi dal pick-up e si sono accodati a noi. Curiosi, sorridenti, silenziosi. Ho vissuto decine di volte questa scena in angoli remoti del globo e tutte le volte ho avuto la conferma di una mia antica teoria: se tutti noi, ormai adulti e inaciditi dall’età, fossimo rimasti almeno un po’ bambini, vivremmo nel migliore dei mondi possibili. Invece no. Peccato.

Mia figlia, che di anni ormai ne ha 23, prima che partissi, ha voluto che promettessi che al ritorno avrei portato con me un bambino nigerino (si scherza, tranquilli, ma me lo fa promettere ogni volta), mi sono guardato attorno con occhio attento e ho individuato il candidato ideale.

Eccolo lì, alto meno di mezzo metro, color nero pece di età non superiore ai tre anni, con perdurante moccolo al naso, quasi scalzo, di gamba veloce e vestito della sola terza maglia del Napoli Calcio, quella orrenda in stile mimetico militare, numero 24. Quella di Lorenzo Insigne. Se mai dovesse sbarcare a Napoli, con lo sguardo da da scugnizzo che si ritrova, riorganizzerebbe il traffico delle sigarette di contrabbando in meno di venti minuti. Ovviamente l’ho ribattezzato Insigne, come il calciatore. L’ho guardato, mi ha guardato, gli ho allungato la mano e lui l’ha afferrata. “Piacere, Sante”. Lui ha taciuto, ha sorriso e il sottotesto diceva “Piacere alla uallera“. Questo si definisce “amore a prima vista”, poche balle.

Il sole ha picchiato come un randello tutta la mattina, roba da mandarti in frittura l’unico neurone rimasto attivo, eppure è stato un bel giro. Insigne ed io abbiamo incrociato più volte lo sguardo complice. Lui al sole senza battere ciglio, io alla ricerca di un filo d’ombra per non soccombere. Insigne mi compativa con evidenza. La razza bianca, per colpa mia, è uscita malconcia nell’improvvisato confronto razziale.

Quando siamo ripartiti la fitta al cuore l’ho sentita chiara e netta, come tutte le volte che mi sono trovato in mezzo a moltitudini di bambini belli come Gesù Bambino, ma poveri e malconci a tal punto da chiederti “Quanti di loro sopravviveranno abbastanza da diventare adulti in queste condizioni?”.

Ovviamente Insigne è rimasto dove doveva rimanere, ma avessi potuto, sì l’avrei portato via con me. 

Sua mamma ha vent’anni, ed è sposata da quando ne aveva quindici, ma, come puoi immaginare, ha il viso di una cinquantenne e la salute di mia nonna. Ha già tre figli, fai tu“. Marta me lo ha raccontato quando ho chiesto notizie del mio piccolo amico nigerino. Come postilla un “non detto” che recitava più o meno così: “Questo è il Niger caro Sante: tanti, tantissimi tantissimi. E madri giovani che sembrano e forse sono, già vecchie”.

Stanotte si dormirà male, già lo so. Notte anche a te Insigne.

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