SOLDATO LIVIA – Italia Rossa giorno 17

Ci sentiamo per telefono, a fine turno, poco prima delle 15. Ha la voce squillante, decisa, non sembra provata. Eppure sono tre settimane che è in trincea a Le Molinette di Torino, il quarto ospedale più grande d’Italia.

Livia Borello, classe 1993, è infermiera in sala di cardiochirurgia del “Centro trapianti cuore polmone”. Veste il camice dal 2015. Ha mosso i primi passi in un altro ospedale torinese, il Cottolengo, fondato da San Giuseppe Cottolengo, uno dei tanti prodigi creati dalla Piccola Casa della Divina Provvidenza.

A Torino, “Cottolengo” fa rima con carità, dedizione, disponibilità. Una palestra perfetta per chi ora deve fare i conti con una pandemia dai contorni tutt’altro che chiari.

Sempre al Cottolengo, la giovane Livia, ha incontrato don Luca Peyron, sacerdote, avvocato, responsabile della pastorale Universitaria della Diocesi e animatore del servizio di Apostolato Digitale. Sono diventati amici, una di quelle amicizie discrete che però ogni tanto fanno sentire con forza la propria presenza.

Succede che l’11 marzo scorso, mentre l’Italia diventava tutta Zona Rossa, don Luca pubblica su Facebook una foto che Livia gli ha inviato dal reparto. Un suo primo piano, con ancora indosso la divisa e il viso quasi tumefatto dalla mascherina. Lo sguardo è letteralmente perso. Occhi che si chiedono “Ma cosa sta succedendo?”.

Don Luca scrive: “Lei è Livia Borello, ed a lei, a loro, dobbiamo volere un mondo di bene, perché il bene nel mondo ce lo stanno mettendo sino al sangue, sino alle piaghe. L’amore ti fa bella amica mia, l’Amore ricompenserà il bello che sei amica mia. Buon riposo questa notte, domani è di nuovo battaglia, ti accompagnerò con il mio povero rosario!”

Like e condivisioni si sprecano.

Don Luca è così – racconta al telefono Livia- un amico vero. Ed è anche vero che nessuno di noi si aspettava tutto ciò. Trapiantiamo cuori e polmoni sapendo che tutti i nostri pazienti sono a rischio, che alcuni colleghi sono positivi e che sarà ancora lunga”.

Livia è mamma di Filippo da poco più di un anno. E il papà del piccolo è anche lui infermiere. “In tutto questo grande caos ciò che più ci preoccupa è la possibilità di poter contagiare i nostri familiari. I nostri genitori, i nonni. Teniamo tutti a debita distanza e ci affidiamo a qualcuno che da lassù ci dia una mano”.

A meno di trent’anni Livia si trova, suo malgrado, a doversi confrontare con la morte quotidianamente. Più del solito, più di quanto sarebbe lecito attendersi in ospedale.

Sono giorni da Apocalisse, di inaspettata ansia, di domande con poche risposte e di numeri che mettono i brividi. La Fede, in questi casi è un’ancora di salvezza? “Confesso che sono giorni nei quali si fatica a essere lucidi, le certezze, anche quelle religiose, vacillano. Devo però dire che invece, per i pazienti la Fede è il grande conforto. C’è chi si affida a Dio con serenità, chi lo cerca, chi lo ritrova negli ultimi istanti e chiude gli occhi in pace. Noi siamo lì e li accompagnano anche in questo tratto di strada, per alcuni quello finale”.

Sul quotidiano La Stampa di lunedì 17 marzo è stato pubblicato un post comparso sul profilo Facebook di Livia e dedicato a suo figlio. Dice così: “Qualche giorno fa leggevo di come i veri eroi non siano i sanitari, bensì i loro figli.  E mai come ora non posso che confermare. In questo periodo così strano sono davvero loro gli eroi. Filippo ha 1 anno e 2 mesi. Filippo da un giorno all’altro non ha più visto le sue adorate maestre, ha cambiato gli orari di nanna e pappa, ha visto i volti di mamma e papà farsi più seri.
Non ha più visto gli arzilli bis nonni e i nonni di giorno in giorno. E non riceve le stesse coccole di prima. E quando la sera mamma o papà tornano non può correre loro incontro se non dopo essersi lavati tutti la mani (…)  Anche per questo vi imploriamo di stare a casa e far morire questo virus. Lo chiediamo per tutti i Filippo che vogliono tornare a mangiarsi di baci le loro mamme e i loro papà
”.

Una mamma e un’infermiera così, possiamo dirlo, sono forse l’ennesimo regalo di una terra che i Santi Sociali “alla Cottolengo” non ha ancora smesso di farli nascere. 

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