Il Masaniello di Bussoleno

Dopo aver partecipato (per scelta) alla manifestazione torinese delle Madamine del 10 novembre, ieri ho partecipato (per lavoro) a quella delle Montagnine. 

Inutile negarlo: mi sono divertito. Musica, colori e polenta in quantità. L’aria di festa era contagiosa, complice un cielo azzurro come in città non si vedeva da un po’. Ho galoppato al seguito di una giornalista de La7, come un camoscio di valle, imbracciando la mia vecchia Panasonic. Abbiamo raccolto voci, pareri, sfoghi sia istituzionali che di popolo (ormai tutto è del popolo, dal Governo in giù). Abbiamo rincorso il corteo lungo via Cernaia, come se non ci fosse un domani. Figo. Stancante da bestia, ma figo.

Mi permetto alcune considerazioni sul campo. I NoTav erano tanti. Quanti? Tanti. Hanno riempito Piazza Castello. C’erano moltissimi valligiani e una nutrita rappresentanza di non torinesi. Numerosi toscani, diversi francesi, qualche tedesco, dalla Sicilia qualche NoMUOS, perfino il vicesindaco di Napoli.

Il numero di bandiere rosse era degno di un primo Maggio nella piazza del Cremlino. C’erano tutti i 478 partiti comunisti nati negli ultimi anni dalle settimanali scissioni a sinistra, e molti pugni chiusi mentre suonava Bella Ciao (edizione MCR) dal carro-discoteca che apriva il corteo. Non mi è spiaciuto, anzi. Un po’ naif, va detto, ma terapeutico per il corazon di un cinquantenne come me. Abbiamo intervistato (scovato per caso nella folla e mi auto congratulo per averlo riconosciuto e segnalato alla giornalista) persino Paolo Ferrero. Ve lo ricordate? Ex ministro  del primo Governo Prodi e ora leader indiscusso del glorioso partito della Rifondazione Comunista. Vent’anni fa. Venti ere geologiche fa.

A dettare la linea politica, però, non erano le mille bandiere rosse, ma le 5 Stelle. I politici Made in Beppe erano i più gettonati dalle tante troupe presenti. Tutti a negare, faticando, la contrapposizione con la contemporanea piazza salviniana a Roma, tutti a confermare che la Torino-Lione non si farà, ma solo dopo aver aspettato il responso dell’analisi costi benefici, che certamente fermerà l’opera. Certamente. A me veniva da ridere ascoltandoli, ma me ne sono ben guardato.

Un vincitore ieri, però, c’è stato. Devo dare ragione al collega Gioele, che me lo ha detto sotto il palco mentre io sbuffafo perplesso: “Sante, oggi il vero vincitore è Alberto Perino”.

Alberto da Bussoleno, il leader storico dei NOTav, l’anima barricadera della lotta, il settantenne più combattivo dopo Chiang-Kai Shek, aveva appena finito la sua arringa con quell’accento piemontese che trasforma tutto in una parodia della Littizzetto da Fazio.

La spocchia è quella del miglior Renzi, lo spessore culturale quello di un Razzi qualunque, la sicumera surclassa quella di Ronaldo quando deve calciare una punizione da breve distanza.

I contenuti della sua arringa, aperta da una lettera-preghiera inviata dall’anziano Erri, quello che sostiene che il sabotaggio alla TAV è legittimo,  erano i soliti: l’opera non serve, i passeggeri non ci saranno, e le merci nemmeno, e il tunnel c’è già, e i costi, e l’ambiente, e gli imprenditori che sono “prenditori” che non sanno neanche gestire la propria azienda, e la mafia che vuole l’opera, etc. etc. Insomma, roba da posare la telecamera, salire sul palco e mollargli due ceffoni.

Ciò che mi ha colpito è stato il pubblico plaudente, quasi ossannate. Masaniello è tornato, è nato a Bussoleno e combatte strenuamente contro un treno. Ha legato a quei binari la sua ragione di vita post lavorativa

Ci sono pensionati che amano guardare i cantieri. Anche a Perino Alberto piace guardare i cantieri, solo che gli è sfuggita la mano. Lui, quei cantieri, li vuole proprio vedere sparire.

Tocca farcene una ragione, non ci sono più nemmeno i pensionati di una volta.

 

 

 

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