La lettera di licenziamento mi è stata consegnata il 1 aprile del 2014. Da dieci anni, quindi, sono tra coloro che una volta perso l’ombrello del lavoro dipendente (un privilegio che riconosci solo quando lo perdi), il lavoro hanno dovuto inventarselo.
A 48 anni non è stato facile, ma in qualche modo sono arrivato fin qui.
Oggi, 1 maggio, festa del lavoro e dei lavoratori, vorrei dedicare un pensiero solidale a tutti coloro che pur lavorando non riescono ad arrivare a fine mese. I cosiddetti lavoratori poveri.
Si stima che siamo 6 milioni le lavoratrici e i lavoratori che pur godendo di un contratto di lavoro non sbarcano il lunario. Un numero abnorme, la pietra tombale per qualunque idea di sviluppo sociale ed economico.
Nel 2007 sommando straordinari e trasferte, non raramente la mia busta paga sfiorava i 2000 euro. Oggi, quasi quindici anni dopo, quanti sono coloro che pur godendo di anzianità lavorativa e competenza arrivano a quella cifra? Non insegnati e infermieri, per esempio. Non un operaio di medio livello. Non un poliziotto o una segretaria amministrativa.
Quante piccole partite IVA riescono a fatturare 3000 euro al mese con continuità e arrivare a portarsi a casa 22/24 mila euro netti all’anno? Meno di quanto si pensi.
Il ceto medio italiano sta scomparendo.
Solo una volta mi è capitato di vedere la classe media implodere. Mi trovavo in Argentina ed era il 1994. Si stava per aprire una crisi economica che ancora non è finita e che ha portato gli argentini (ormai disperati) a votare qualche mese fa El Loco Milei. Un all in che potrebbe avere effetti ancora più devastanti della crisi trentennale.
L’euro ci dovrebbe mettere al riparo dallo scenario argentino, ma non da quello greco. Siamo un Paese indebitato, vecchio, affaticato, povero e senza strategia economica. Il rischio che tutto vada a ramengo, è concreto.
Per questo oggi, anche se razionalmente non ci dovrebbe essere nulla da festeggiare, mi sento di dover augurare buona festa del lavoro a tutti le lavoratrici e i lavoratori poveri.
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