Con il passare del tempo il mio approccio alle feste comandate è profondamente mutato: non mi intriga più Capodanno, ignoro il Carnevale con nonchalance, dribblo Halloween con la stessa agilità di Garrincha, festeggio san Valentino con misurato ritardo e a Pasquetta non farei più il picnic nemmeno cucinasse Cracco. 

Ma il Natale lo festeggio ancora. Il Grinch non ha ancora preso il sopravvento.

Il 25 dicembre rimane un giorno diverso dagli altri, in nulla simile alle altre feste comandate.

Il giorno di Natale del 1996, per esempio, rimarrà per sempre quello in cui, diventando padre per la prima volta, ho vissuto l’emozione più forte che ricordi e il Natale del 2012 quello in cui nella strana solitudine di un piccolo bilocale ho vissuto la mia prima e per fortuna ultima crisi di panico. 

Natale non passa mai inosservato, nel bene e nel male. 

Questo, datato 2022, arriva per me dopo dodici mesi che definire intensi è poco. Un tempo nel quale, per l’ennesima volta, sono ripartito da zero. A 56 anni può essere esiziale, ma ho imparato che è meglio rischiare che subire passivamente gli effetti del tempo che scorre. 

Nonostante la lunga scia pandemica, nonostante la guerra a due ore d’aereo da qui, l’anno che va a chiudersi mi ha insegnato che c’è sempre un tempo inatteso che spariglia le carte e ti offre una nuova opportunità.  

In fondo un dio che si fa uomo, nascendo come un bambino qualunque in una periferia qualunque, è un bel modo per sparigliare le carte.

Quello che mi sento di augurare a ciascuno di noi è di avere sempre una nuova opportunità, un’occasione che ci scuota dalle fondamenta e ci permetta di rinascere. 

Che sia il migliore Natale possibile.