Andrò a votare al referendum dell’8 e 9 giugno, ma al seggio non ritirerò tutte e cinque le schede. Voterò solo per il dimezzamento degli anni necessari all’ottenimento della cittadinanza italiana e per la responsabilità della ditta committente in caso di infortuni per quelle in subappalto. Gli altri tre, genericamente indicati come “riforma del Jobs Act“, non li prenderò nemmeno in considerazione.
IL DIRITTO DI ESSERE CITTADINO
Il referendum sulla cittadinanza è doloroso anche solo da dover votare. Noi a questo punto non ci saremmo mai nemmeno dovuti arrivare.
Forse lo abbiamo dimenticato, ma nel 2015 lo Ius soli (la legge che avrebbe consentito a tutti coloro che fossero nati sul suolo italiano di acquisire automaticamente la cittadinanza) era già stato approvato dalla Camera. Poi era rimasto impantanato al Senato. Lì però i numeri della maggioranza di governo erano ballerini. Presidente del Consiglio, al tempo, era Matteo Renzi.
Il 23 dicembre del 2017, nell’ultima seduta prima della pausa natalizia, lo Ius soli è comunque andato al voto in Senato. È mancato il numero legale per poter procedere. Mancavano 33 senatori. Erano assenti tutti i 35 senatori del Movimento 5 Stelle (alcuni erano in realtà presenti in aula, ma hanno deciso di non rispondere alla chiama), così come tutti i senatori della Lega, quasi tutta Forza Italia e gli altri gruppi di destra, ma anche 29 senatori del PD (su 89). Poteva essere un Natale di civiltà, andò in modo diverso.
La legge sulla cittadinanza in vigore è e resterà un obbrobrio, ma almeno se si raggiungesse il quorum e vincesse il sì, ridurremmo l’indecenza dei 10 anni di residenza ininterrotta in Italia per essere ritenuto cittadino italiano.
Con la vittoria referendaria, però, si permetterà ai figli di coloro che otterranno la cittadinanza, di beneficiarne a loro volta senza dover aspettare il diciottesimo anno di età. Questo sarebbe un bel passo in avanti. Quindi voterò SÌ con convinzione.
FORMA E SOSTANZA
L’ultimo dei quattro quesiti che intervengono sulla legislazione del lavoro, mi sembra importante e riguarda le tutele negli infortuni anche per lavoratori di imprese in subappalto. Nei cantieri (dove il subappalto è la norma) muoiono circa 200 persone all’anno. Gli infortuni sono nell’ordine delle decine di migliaia. Quindi: altro SÌ convito.
Gli ultimi tre quesiti (che riguardano il reintegro, le proroghe, i rinnovi e i risarcimenti) mi sembrano sbagliati nella forma e nella sostanza. Nella forma: è un referendum voluto dal nuovo PD (Schelin) contro il vecchio PD (Renzi). L’ennesimo regolamento di conti interno, null’altro. Se la vedessero tra di loro, senza indire consultazioni popolari. Nella sostanza: continuare a preoccuparci del posto di lavoro e non del lavoratore o della lavoratrice, mi è insopportabile.
Invece di cercare di far riassumere chi viene licenziato, mi preoccuperei di fornirgli gli strumenti e la possibilità di trovare un nuovo lavoro, magari meglio retribuito. Solo che qui nascono i problemi veri (e chi ha avuto la ventura di essere licenziato, lo sa): in Italia non esiste un mercato del lavoro degno di questo nome e nemmeno strutture in grado di aiutarti a cercarlo.
Quando nel 2013, dopo ventitré anni, mi è stata consegnata la lettera di addio perchè l’azienda chiudeva i battenti, non sono riuscito a trovare un nuovo contratto a tempo indeterminato. Troppo vecchio, troppa anzianità, troppa specificità settoriale etc. etc. Ho aperto la partita IVA e amen. Ciao tutele.
Avessi avuto a che fare con un mercato del lavoro vero e strategie per chi è in cerca di nuova occupazione (formazione e accompagnamento) sarebbe stata tutta un’altra storia. Quindi spero che questi tre quesiti implodano e che la responsabilità del loro fallimento cada tutta e per intero su chi li ha proposti.
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