L’ANTIFASCISMO FAI DA TE

Mio nonno Sante era uno scalpellino. Spaccava le pietre. Per vivere. Nella murgia barese era un mestiere mediamente diffuso. Serviva precisione, costanza, una discreta forza fisica e la convinzione incrollabile che tutto sommato potesse anche andare bene così. Spaccare pietre non può essere un bel mestiere, da qualunque punto di vista lo si guardi (a meno che non sei Canova o Michelangelo).

Nonno Sante, che negli Anni Trenta era già ben in grado di intendere e volere, ha sempre rifiutato di prendere la tessera del Partito Fascista. In un paese come Minervino Murge la privacy era già morta prima ancora che il concetto stesso di privacy potesse essere anche solo ipotizzato, quindi quel gesto concretamente antifascista, era uno stigma. Le conseguenze sono facilmente immaginabili: vivi ai margini, perdi ogni privilegio, cammini sul filo e il dito delle autorità è sempre puntato su di te. I suoi tre figli maschi, nati tra il 1923 e il 1935, sono diventati (poteva essere diverso?) Socialisti di fede nenniana. Uno dei tre con anche qualche venatura anarcoide.

Nonno Sante, toltosi lo sfizio di vedere il Duce finire com’era inevitabile (e giusto) finisse, ha poi iniziato a militare nel Fronte Popolare.

Custodendo orgogliosamente questa storia nel mio DNA, la vicenda del rider bolognese licenziato perchè nella giornata del 25 aprile ha strappato un biglietto inneggiante al Duce che accompagnava la consegna di una bottiglia di vino, mi ha fatto un’ immensa tenerezza.

Alcune vite fa, per due settimane, ho consegnato, per conto di una esattoria, delle cartelle fiscali. Mi avevano assegnato una delle zone più ricche e belle della città, tra corso Cairoli e via dei Mille. Zona sabauda in senso stretto.

Tra i miei destinarsi c’era anche un Cordero di Montezemolo. Entrato nel cortile di un sontuoso palazzo ottocentesco, trovo il campanello, suono ma nessuno risponde. Noto che nella cassetta della posta del suddetto Cordero c’è una copia del Secolo d’Italia, che allora era il quotidiano del Movimento Sociale Italiano. In linea teorica sarei dovuto ripassare una seconda volta, invece ho lasciato nella buca l’avviso di mancato recapito. Se voleva quella cartella avrebbe dovuto perdere un po’ di tempo in qualche ufficio pubblico o parapubblico.

Ho a lungo raccontato l’episodio, a me stesso e a qualche anima pia in vena di ascoltarmi, come un gesto di militanza antifascista. Con il tempo, per decoro, ho smesso.

L’antifascismo fatto in casa, compreso quello del rider, è roba del tutto inutile alla causa. Invece di essere derubricato a pirlata, sopravvive grazie ai social, a un post di Lorenzo Tosa e a un comunicato di qualche associazione affetta da romanticismo senile.

Così siamo buoni tutti. Mio nonno era antifascista durante il Fascismo.

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