100% Italiano

 

Era sotto i portici di via Roma, angolo via Gramsci. Poco prima delle 10 di questa mattina, e pioveva a dirotto. Poteva avere una sessantina d’anni, ben coperto, curato, con tanto di capello con il para orecchie e i guanti. Blu. Blu scuro. E occhiali da sole.

Chiedeva l’elemosina, in piedi, immobile, sguardo basso sul marciapiede. Una mano tesa e in mano una piccola scatola. Di cartone, di plastica,  non si capiva bene.

Al collo aveva un cartello, appeso con lo spago. Un cartoncino bianco con un scritta a pennarello nero, in stampatello, ben visibile, tratto sicuro: 100% ITALIANO.

Non ho avuto il coraggio di fermarmi. Ogni volta che vedo un uomo, composto e curato, poco più vecchio di me, che chiede l’elemosina, vado nel panico e mi chiedo: potrebbe capitare anche a me? In fondo che ci vuole, oggi, a fare un capitombolo e finire in fondo al tritacarne della piramide sociale? Poco. Troppo poco.

Ma quel cartello l’ho visto, l’ho letto e mi ha pugnalato. Quante sconfitte erano racchiuse in quel cartello? C’era il dolore composto di un uomo che chiedeva aiuto (e io sono passato oltre) e c’era il silenzio di una società che non sa aiutare un uomo disperato che di sé pensa: magari fossi stato uno straniero disperato. Meglio ancora un profugo disperato. Avrei avuto, di certo, miglior sorte.

Già, perchè la cifra imbecille che caratterizza i nostri giorni, ci fa dire che se sei un immigrato o un profugo, governo ladro, ti danno 35 euro al giorno, e poi una casa popolare, e certo anche il telefonino, e magari pure lo smartphone. E, di sicuro, non devi nemmeno lavorare.  Che tanto mica c’hanno voglia. Loro. La cuccagna aggratis, sulle spalle di noi italiani gente per bene. Noi.

Quindi, puoi pensarlo davvero: meglio immigrato, o profugo, che italiano in difficoltà. Allora mi metto al collo un cartello e ti dico che sono come l’olio che costa di più, sono 100% italiano. Un povero vero. Non come quegli altri.

E’ la sconfitta di tutti. Mia, che non rallento il passo di fronte a quell’uomo, e di tutti noi che non siamo riusciti a costruire una società attenta a chi esce dall’ingranaggio e arranca. E per lavarci la coscienza, noi che ancora in quell’ingranaggio resistiamo, diamo la colpa all’ultimissimo della fila. Quello appena arrivato. Possibilmente da lontano. Brutto, sporco e cattivo. E così, con serenità, ce ne possiamo fottere bellamente di tutta la fila di disperati. Italiani, stranieri, profughi e non.

Si fa così, da un pezzo.

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