GIORGIO ORIO STIRPE: i media e la guerra

Quando voglio capire cosa sta succedendo in Ucraina da un punto di vista militare, il mio faro nella notte è lui: Orio Giorgio Stirpe, torinese classe 1962. Fino al 2020 è stato Ufficiale dell’Esercito Italiano, con una carriera che lo ha portato a partecipare a operazioni in Somalia, Bosnia, Albania, Kosovo, Liberia e Afghanistan e a specializzarsi sia nell’analisi tattica che nell’intelligence operativa. Alla NATO e, purtroppo, alla guerra, lui da del “tu”. Leggerlo su Facebook o ascoltarlo sul canale YouTube “Liberi oltre” è per me imprescindibile.

Considerando l’approssimazione con la quale la maggior parte dei media italiani racconta i movimenti al fronte e la loro incapacità di filtrare la propaganda militare, ho chiesto a Orio Giorgio Stirpe di rispondere via mail a qualche mia domanda e aiutarmi a capire questo aspetto non secondario.

Questo il nostro carteggio.

La prima domanda è necessariamente generica e la risposta forse scontata: come giudica nel loro complesso il lavoro dei media italiani rispetto al conflitto?

Sono scandalizzato. La gestione scellerata dell’informazione relativa al conflitto da parte della larga maggioranza dei media nazionali è la causa primaria della polarizzazione che si è verificata solo in Italia sul conflitto, lasciando quasi metà popolazione in una posizione di supporto diretto o indiretto all’aggressione perpetrata da parte di una dittatura ai danni di una seppur giovane e imperfetta democrazia. 

Quali sono, da osservatore militare, le possibili ragioni?

Direi che la ragione è fondamentalmente un equivoco gravissimo fra il concetto di obiettività e quello di imparzialità: non si tratta di sinonimi. In Italia è invalso in convincimento che occorra essere imparziali come un arbitro in una partita di calcio anche se si commenta un conflitto e che sia quasi un crimine prendere posizione, in quanto così facendo verrebbe meno la possibilità di ergersi a mediatori. Pare che una larga fetta di italiani ami vedere sé stessi in questa veste di “mediatori”, anche quando il conflitto coinvolge noi, i nostri alleati e i nostri amici. Quindi occorrerebbe dare voce pari ad entrambe le parti, con uguale dignità, indipendentemente dalla credibilità di chi parla. È lo stesso equivoco secondo cui sembra che tutti i giornalisti vogliano fare i commentatori e nessuno il cronista: le notizie vengono rimbalzate direttamente senza alcun vaglio di veridicità o analisi, limitandosi ad inserire nel testo la fonte, ma omettendola nel titolo, che invece amplifica l’effetto al massimo. In questo modo si diffonde acriticamente la propaganda di parte (di entrambe le parti). Poi la massa dei commentatori si scatena scegliendo la propria tesi con l’entusiasmo dei tifosi e le redazioni li separano con cura e – appunto – con imparzialità per paura di essere considerate “di parte”. Così si è ottenuto l’effetto di creare due schiere contrapposte di tifosi anche nella popolazione, da sempre portata a dividersi in opposte tifoserie, Guelfi contro Ghibellini.

Lei ora vive all’estero e segue molta stampa internazionale. Le carenze italiane sono generalizzate in Occidente, oppure esiste un primato italiano nella cattiva informazione sul conflitto?

Le carenze esistono ovunque, ma non sono esasperate come da noi. Le notizie che sono chiaramente inattendibili non vengono riportate per niente, oppure vengono menzionate con un commento tecnico che le relega al loro ruolo di propaganda, spiegando il perché. I media si sono organizzati trovando interlocutori affidabili professionalmente e non in base a raccomandazioni, e le Autorità sono scese in campo con dichiarazioni pubbliche ed esperti governativi. Quando una notizia particolarmente ad effetto invade il campo pur apparendo poco credibile, viene riportata con i caveat “non è stato possibile verificare questa informazione in maniera indipendente”, e magari si aggiunge un commento che porta chi legge a capire che potrebbe essere vero oppure no. In Italia invece il titolo tende da solo a confermare e ingigantire quanto riportato dall’articolo, generando uno stress continuo che porta il pubblico all’esasperazione e alla conflittualità fra opposte fazioni.

È esploso il fenomeno dei corrispondenti freelance, che si aggiungono ai corrispondenti delle testate che possono permettersi propri uomini e donne a seguire il conflitto dalla linea del fronte. Teoricamente questo dovrebbe favorire la comprensione dei fatti. Eppure in Italia è davvero forte la sensazione di un filo putinismo diffuso, a volte velato di pacifismo, altre volte semplicemente ideologico e anti americano. L’anti atlantismo italiano l’ha sorpresa? Come ex militare NATO credo lo abbia percepito meglio di altri.

Il fenomeno dei freelance di per sé potrebbe anche essere positivo, e condurre ad una nuova generazione di reporter. Il problema è che coloro che si espongono in prima linea, spesso sono motivati da una militanza di parte che li porta a sostenere le istanze della loro fazione piuttosto che a servire l’opinione pubblica in patria. Alla fine molti di loro diventano parte del problema più che della soluzione, e questo soprattutto in forza del fatto che tendono a provenire da aree di militanza politica estrema.

Lei è un analista militare oltre che ex soldato, mi pare che si sia accostato al mondo dell’informazione social quasi per caso. I suoi post su FB che seguono il conflitto hanno velocemente aggregato molte persone che la seguono con interesse (me compreso) fino a portarla su alcuni canali YouTube altrettanto seguiti (anche quello degli YouTuber che si occupano del conflitto mi pare un fenomeno nuovo e interessante). Com’è nato questo rapporto con i social, ne è sorpreso, ne sente l’utilità, ha riscontri confortanti?

Vero, fino al 1 maggio 2020 non avevo nemmeno un account Facebook. Quando la guerra è scoppiata mi sono reso conto che ben pochi sui media ci capivano qualcosa, e che le Autorità avevano scelto di non esporsi direttamente, così ho deciso di provare a dire la mia visto che si trattava di un argomento su cui sono professionalmente preparato e aggiornato. Ho fatto il primo post dopo un paio di settimane, quando ero abbastanza sicuro di ciò che scrivevo, e poi mi sono sentito in dovere di proseguire. Quando le mie prime previsioni hanno cominciato a concretizzarsi sul terreno, ho cominciato a ricevere le prime proposte per collaborare a video su alcuni canali di YouTube, e l’ho trovato interessante, e perfino appagante. Vista poi l’assenza di pubblica informazione di qualità sull’argomento, mi sento in dovere di fornire un contributo, per quanto piccolo: sono abituato ad essere una rotella in un organismo più grande, e mi sta anche bene se il pubblico che riesco a raggiungere è piccolo. Almeno faccio la mia parte.

Quali sono gli gli strumenti attraverso i quali prepara le sue analisi, e cosa ci consiglierebbe di leggere per uscire dalla bolla della cattiva informazione sul conflitto?

Purtroppo non ho molto da suggerire. In realtà io leggo il 90% delle informazioni che tratto su internet e sui media; la differenza è che io ho un bagaglio professionale che mi consente di leggere fra le righe l’informazione vera, di fare le mie valutazioni, di costruire scenari da verificare poi cercando altre informazioni che mi consentano di validarli o di scartarli. Un po’ come un dottore che fa telemedicina ascoltando i lamenti del paziente e magari guardandolo sullo schermo. Esistono comunque alcuni canali informativi che forniscono informazioni molto più corrette di altri; purtroppo sono quasi tutti in inglese. In italiano forse i commenti che ho trovato più corretti, professionali e centrati sono quelli del Generale Camporini.

Non le chiedo di fare Nostradamus, ma in base alla sua esperienza, davvero questo conflitto può durare a lungo e quindi mietere ancora vittime, oppure questa guerra di attrito ha un suo limite di rottura che è in arrivo?

A questo punto il conflitto ha una sola variabile significativa: il volume del sostegno occidentale all’Ucraina. La sfida è gestirlo nel modo corretto per consentire una controffensiva estiva il più efficace possibile. A seconda del risultato che si otterrà, gli ucraini recupereranno abbastanza territorio da provocare il collasso dello sforzo militare russo, oppure no. Nel primo caso la guerra si concluderà entro l’anno; nel secondo si protrarrà attraverso una serie di fasi di quiescenza (dovute all’esaurimento dei contendenti) e di attacchi a sorpresa (dovute al ripristino di un potenziale minimo di attacco), che proseguiranno fino alla cessazione degli aiuti occidentali oppure fino a un cambio di Regime a Mosca.

3 Comments on "GIORGIO ORIO STIRPE: i media e la guerra"

  1. Chiarissima, calibrata ed a mio parere veritiera analisi. Congratulazioni e… alla via cosi’!

  2. Non ha indovinato niente,non lo ritengo affidabile, mi dispiace ma è di parte ,non è per niente indipendente nelle sue valutazioni

    • In verità le sue analisi tattiche sono molto precise, quasi sempre centrate e fondate. Ma non è un indovino. Soprattutto non hai mai celato la sua posizione (avversa a Putin, che è un dittatore). Posizione che condivido appieno.

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